Modernità | Crisi e Strumento


La MODERNITÀ non è un concetto cronologico. Questo il primo assioma che poniamo. Non possiamo definirlo così banalmente come terminus post quem. Allora MODERNITÀ vuol dire nuovo, migliore in confronto con l’obsoleto? Non così in fretta.


La risposta di Zevi ci dà la chiave giusta del ragionamento: LA MODERNITÀ È QUELLA CHE TRASFORMA LA CRISI IN VALORE, E SPINGE VERSO UN’ESTETICA DI ROTTURA E CAMBIAMENTO. 
La crisi quindi è la chiave per capire cos’è MODERNITÀ e quindi, lo vediamo nel 400 con l’invenzione della pittura a olio, crisi e strumento di una nuova arte; con Brunelleschi e la crisi/strumento della prospettiva, che genera una nuova architettura “ MODERNA” che rompe col passato, perché consapevole della prospettiva; con la nascita della fotografia, processo analogo a quello della pittura a olio insomma, o come la guerra e l’invenzione di Turing. 
La crisi così diventa strumento e modifica il linguaggio dell’arte. 
Lo vediamo in architettura, come citato prima, nel caso di Brunelleschi e della sua cerchia di architetti del Rinascimento, essi costruiscono la nuova Firenze, la Firenze MODERNA, con architetture ritmate, proporzionate, tutto perché erano consapevoli ed avevano accolto la prospettiva -l’elemento critico- nelle loro architetture. E dopo di lui il Borromini, in un’epoca in cui le scienze matematiche diventavano più accurate, egli le applica alle sue architetture e definisce così qualcosa di MODERNO. Andando ancora avanti il Bauhaus, costruzione che incarna nel suo programma e nel suo sviluppo spaziale quella che era la crisi del suo tempo, cioè la rivoluzione industriale; ancora una volta, CRISI che diventa STRUMENTO. 

Libeskind, con il suo Museo Ebraico di Berlino, interpreta un’altra di queste CRISI e la trasforma in STRUMENTO, in quella estetica di rottura e cambiamento. Prende la crisi della Shoah e ne ricava un’architettura nuova, una linea spezzata e forte come lo era stato nella storia la tragedia degli ebrei. 





Rem Koolhaas affronta un’altra crisi, non meno drammatica, seppur di scala molto inferiore rispetto a Libeskind. Nella sua maison a Bordeaux egli deve fronteggiare la crisi di un singolo uomo, costretto in sedia a rotelle, che gli dice "io voglio una casa complessa perché definirà il mio mondo”. E nel progetto di Koolhaas questa crisi diventa il motivo del progetto, egli infatti idea una piattaforma elevatrice aperta di circa 3x3 metri, ammobiliata come uno studio, che trasporta il cliente da piano a piano; quindi non solo un attrezzo di mobilità ma anche una chiave per aprire combinazioni spaziali nuove diverse. 










Altra crisi che mi viene in mente - forse per associazione mentale con Koolhaas- è la crisi posta, e usata anche come risposta, dal filone dell'architettura radicale. Sono gli Archigram ad iniziare questo processo. Essi infatti, con l'uso di linguaggi derivati dalla cultura dei media, dei cartoon, con i collages, le riviste/telegrammi (‘archi-grams') .. insomma intrecciano raffigurazioni pop al progetto, trasformando l'architettura in un processo di comunicazione in linea con le caratteristiche di consumismo e della cultura di massa della nuova realtà urbana che al contempo criticano. Quindi una crisi da cui traggono il nuovo linguaggio.








Fonti bibliografiche: 
Architettura e modernità, Dal Bauhaus alla rivoluzione informatica, Antonino Saggio, Carocci ed, 2010, pagg. 345-349 (D. Libeskind); 370-374 (Rem Koolhaas)
Fonti iconografiche:
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/1f/Shalechet.jpg/800px-Shalechet.jpg
http://bearch.it/wp-content/uploads/2015/01/museo-ebraico-berlino.jpg
https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/originals/66/f0/93/66f093347d726b002113432f123ec303.jpg
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http://archigram.westminster.ac.uk/project.php?id=142

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